Il giallo di Via Poma

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Condannato a 24 anni l’ex fidanzato di Simonetta Cesaroni Raniero Busco

Il 26 gennaio 2011 la terza sezione della Corte d’assise di Roma ha condannato Raniero Busco a 24 anni di reclusione per l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Il pm aveva chiesto l’ergastolo.

La riapertura del caso
2007. A 17 anni dall’omicidio di Simonetta Cesaroni le nuove analisi effettuate dai RIS (Reparti Investigazioni Scientifiche) su alcune tracce di sangue ritrovate nel lavatoio del condominio e nell’appartamento in cui lavorava ed è stata uccisa la ragazza riaprono il caso. Le indagini, realizzate all’epoca in maniera poco approfondita, sono state disposte nella speranza che le nuove apparecchiature per l’analisi del dna possano far emergere la verità. Non la conoscerà mai Claudio Cesaroni, padre di Simonetta, morto nel 2005 fa portandosi dietro il dolore di una tragedia assurda e senza colpevoli. Solo qualche anno fa denunciava tristemente come questa giustizia vada avanti a seconda del peso delle persone che la chiedono”.

A chi appartiene il dna maschile?
Secondo gli ultimi accertamenti avvenuti all’inizio del 2007, le tracce di saliva presenti su alcuni indumenti che Simonetta indossava il giorno dell’omicidio apparterrebbero a un dna maschile il quale coinciderebbe con quello di un suo ex fidanzato. All’epoca dei fatti, Simonetta si era da poco lasciata con Raniero Busco, un operaio dell’Alitalia, ma pare anche che avesse appena allacciato un nuovo rapporto. Inoltre, dall’ultimo pranzo fatto dalla ragazza risulterebbe che l’omicidio è avvenuto tra le 15,30 e le 16 e non alle 18, come era stato detto in precedenza. Secondo la prima ricostruzione, Simonetta avrbbe parlato per telefono con una collega, Luigia Berrettini, verso le 17. In base a questa nuova indicazione – ricavata non attraverso rilievi sul cadavere, ma sulla base delle testimonianze relative a quello che aveva mangiato durante il pranzo ed effettuando accertamenti sui tempi di digestione – tutto il quadro degli alibi sballerebbe in modo clamoroso. E dopo tanti anni sarebbe davvero difficile ricostruire i movimenti dei sospetti in quel pomeriggio d’agosto.

Sono state interrogate in totale 31 persone e analizzati i dna di ognuno. Nel gennaio 2007 Enrico Mentana annunciava in diretta tv nella sua trasmissione “Matrix” che le tracce di saliva trovate sul reggiseno di Simonetta appartengono proprio a Raniero Busco; queste dichiarazioni gli costeranno una denuncia del pm Cavallone che segue le indagini sul caso.

La sera dell’omicidio
E’ il pomeriggio del 7 agosto 1990. Per Simonetta dovrebbe essere l’ultimo giorno di lavoro nell’ufficio dell’Associazione italiana ostelli della gioventù: il suo datore di lavoro Salvatore Volponi l’aveva mandata lì temporaneamente per sbrigare una faccenda al pc. Quel giorno l’ufficio è chiuso al pubblico. I genitori l’attendono a casa per le 20.00, ma non rientra. Il corpo senza vita verrà trovato il giorno dopo sul pavimento in una pozza di sangue, seminudo e con le gambe divaricate. Indosso, solo una canottiera di seta e un paio di calzini. Il reggiseno e’ arrotolato intorno al collo e le scarpe sono disposte in un angolo della stanza. Riceverà 29 coltellate con ferite profonde 11 centimetri rivolte tutte in zone vitali, ma gli inquirenti le associano subito a un depistaggio. Il corpo presenta anche dei graffi, segno di lotta, e morsi. Prima di scomparire, l’assassino lava per bene la scena del crimine e chiude la porta con 4 mandate. La porta non mostra segni di forzatura. Nessuno si accorge di nulla e sembra che nessun estraneo sia entrato. Il fatto che l’assassino si sia accanito sugli occhi e nelle zone erogene fa pensare al delitto passionale. L’arma utilizzata dall’assassino, forse un tagliacarte, non verrà mai ritrovata. Probabilmente è stato ferito, e lo dimostra il fatto che il cadavere di Simonetta è stato spogliato e il luogo del delitto lavato con cura: alcuni stracci vengono difatti ritrovati sciacquati e rimessi a posto; l’assassino ha avuto quindi tutto il tempo necessario per agire. Scompaiono alcuni gioielli d’oro di Simonetta. Ipotesi verso ignoti: omicidio volontario, commesso da un uomo che conosceva la ragazza o frequentava il condominio e lo studio. Inizia così un giallo dove si sono alternati depistaggi, disattenzioni, errori d’investigazione, colpi di scena e, come sempre in ogni delitto, tante ipotesi.

Sospettati principali
I principali indagati, prosciolti da ogni accusa nel 1993 per mancanza assoluta di prove, sono Federico Valle, nipote dell’ingegnere che progettò l’edificio di via Poma e dove anche vi abitava, accusato di omicidio, e Pietrino Vanacore, portiere del palazzo, accusato di favoreggiamento. Vanacore è anche l’unico ad essere stato arrestato in tutti questi anni. È il primo sospettato perché possiede le chiavi dell’ufficio, ha un alibi contraddittorio e alcuni vociferano che si fosse invaghito di Simonetta. Inoltre è stata l’ultima persona ad averla vista ancora in vita; sui suoi pantaloni verranno ritrovate macchie di sangue sospette che si scopriranno successivamente appartenere a lui visto che soffre di emorroidi. Il 10 agosto viene arrestato, ma scarcerato circa un mese dopo. Nel 1992, un anno e mezzo dopo il delitto, Roland Voller, un commerciante tedesco o forse austriaco, accusa Valle di essere il colpevole dell’omicidio Cesaroni. L’uomo è sospettato di fornire informazioni alla polizia e di collaborare con il SISDE, i servizi segreti. Già in passato, aveva sviato le indagini in un altro delitto rimasto, come questo, irrisolto: l’assassinio all’Olgiata, sempre nella Capitale, della contessa Alberico Filo della Torre (10 luglio 1991). Stando alle dichiarazioni di Voller, Valle la sera del delitto sarebbe tornato a casa con un braccio ferito. Ma il suo alibi regge e così anche lui viene scagionato dall’esame del dna. Finisce sotto interrogatorio anche Volponi – datore di lavoro di Simonetta – perché pare che si contraddica più volte; il test del dna darà ancora una volta esito negativo. Un altro sospettato dagli inquirenti è l’architetto Luigi Izzo, proprietario di una casa nello stabile di Via Poma; i sospetti cadono su un asciugamano trovato sporco di sangue in casa sua, ma il giorno dell’omicidio si trova in vacanza all’Argentario; l’ipotesi, in seguito abbandonata, è che avrebbe coperto l’assassino. Vanacore oggi vive lontano da tutti, in un paesino nel golfo di Taranto mentre Federico Valle sembra si sia dedicato alla carriera d’attore negli Usa.

Un nuovo amore?
Nel 2004 Volponi, titolare della Reli Sas dove lavorava Simonetta, pubblica un libro intitolato Io, via Poma e… Simonetta. Tutta la verità, che ha permesso ulteriori chiarimenti sulla vicenda. Ad esempio, nel libro racconta che sua nipote era a quel tempo amica della Cesaroni. In uno dei tanti incontri alla Reli Sas, Simonetta le parla di una persona che frequenta da poco e con la quale vuole partire in vacanza. Neanche i familiari sanno di questa nuova storia. La nipote di Volponi, però, non conosce l’identità di questo tizio. Le indagini portano a un ragazzo che la Cesaroni aveva conosciuto sulla spiaggia di Tor San Lorenzo, in provincia di Roma. All’epoca il ragazzo venne interrogato e subito dopo cancellato dalla lista dei sospettati.

Una verità scomoda?
Volponi ha dichiarato nel suo libro che la Cesaroni potrebbe essere stata uccisa perché venuta a conoscenza di qualcosa che la ragazza ha visto e che non doveva vedere. Potrebbe magari aver capito il significato dei dati numerici inseriti nel computer su cui lavorava. La ditta che aveva fornito il software a quel computer era infatti collegata al SISDE e il segretario nazionale dell’Associazione italiana alberghi della gioventù era il cognato di Riccardo Malpica che dal 1987 al 1991 aveva ricoperto proprio la carica di capo del SISDE. Potevano esistere dunque dei sospetti sul fatto che l’Associazione fosse una copertura dei servizi segreti, nonostante le smentite ufficiali.

Una frase inspiegabile
Nel cestino dell’ufficio è stato trovato uno strano biglietto sul quale era disegnato un pupazzetto a forma di margherita e vicino delle parole indecifrabili CE DEAD OK. Non si sa chi le abbia scritte e cosa volesse dire. Ovviamente, i riferimenti alla sua morte (Ce = Cesaroni; dead = morte) non sono mancati. Un quarto d’ora prima di morire, Simonetta lavora al pc e chiama una collega per avere una password di accesso ad alcuni file. Alcuni giorni dopo, la ditta che aveva fornito il computer all’ufficio svela il mistero: la scritta “ce dead” si riferisce ad una delle fasi d’impiego del pc che apparirebbe sul monitor per avvertire l’operatore che occorre una chiave di accesso per poter procedere.

Messaggio sul Videotel
Nel 2004 emergono altri indizi collegati a questo caso. Dalle dichiarazioni di un testimone che frequentava il Videotel, antesignano delle attuali chat line, Simonetta sarebbe entrata in contatto tramite una casella vocale con un certo Death, nome virtuale di uno sconosciuto che, secondo quanto dal testimone riportato, ne avrebbe poi rivendicato l’omicidio. Prima di morire, Simonetta avrebbe contattato il testimone per conoscere qualcosa su questo fantomatico utente dato che ne era stata “attratta”. Death era conosciuto agli altri utenti, ma in seguito allontanato dalla “chat” perchè mostratosi aggressivo. L’utente anonimo avrebbe anche mandato un messaggio firmato in cui diceva Hai visto, l’ho fatto, ho ucciso Simonetta. Le indagini degli inquirenti hanno però stabilito che il computer presente nell’ufficio aveva soltanto un sistema di videoscrittura, peraltro non collegato in rete.

Il suicidio di Vanacore
Venti anni di sofferenze e di sospetti ti portano al suicidio: se ne e’ andato lasciando questa scritta su un biglietto Pietrino Vanacore, l’ex portiere dello stabile di via Poma, nel quale fu trovata uccisa Simonetta Cesaroni, seminuda e straziata da 29 coltellate, il 7 agosto del 1990 negli uffici dell’Associazione italiana alberghi della gioventu’ dove lavorava. Uscito dalla vicenda giudiziaria, a Vanacore non deve essere bastato lasciare Roma e trasferirsi a Monacizzo, nel golfo di Taranto, per scrollarsi di dosso il giallo che ha segnato irrimediabilmente la sua vita ne’ per farsi dimenticare. Cosi’ a 20 anni dal delitto per cui fu additato come ‘mostro’ e a pochi giorni dal 12 marzo, quando avrebbe dovuto testimoniare nel processo contro l’ex fidanzato della ragazza Raniero Busco rinviato a giudizio, Vanacore ha deciso di farla finita.

Lo stabile degli orrori
Nel 1984 nello stesso stabile di Via Poma era stata trovata morta Renata Moscatelli, un’anziana donna benestante, soffocata con un cuscino. Anche in questo caso, la porta non mostrava alcun segno di scasso e l’assassino non è mai stato identificato. Un delitto irrisolto. Uno dei tanti.